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Là dove osano gli angeli (prima parte - Arrivo ad Addis Abeba)
Tutto è cominciato con uno sguardo alle nuvole catturando l’intento con gli occhi, la domanda banale al Signore dei Signori, Jah, su cosa consigliasse per le vacanze estive, mare o montagna, e la risposta tuonante dal cielo, senza esitazione e severa: “ETIOPIA”.
Il Rastafari è un timorato del Signore, ed avendo già provato quanta sofferenza possa implicare il non ascoltare la voce dell’Altissimo, ho acquistato i biglietti dell’aereo e in 15 giorni sono partito per altri 15 giorni sul tetto del mondo, nei favolosi altopiani etiopi, Mount Zion. Erano diversi anni che volevo andarci e all’improvviso, grazie alla voce Signore, mi sono ritrovato con il piglio giusto per partire.
La Farnesina sconsigliava i viaggi in Etiopia, soprattutto nelle regioni del Nord e vicino ai confini del sud, e i tour operator avevano annullato i pacchetti a causa di guerre interne tra varie etnie (N.A.: riniziate quando l’Etiopia ha aperto le porte al presidente degli USA Obama e la sua delegazione). Ad agosto, inoltre, in Etiopia è inverno, stagione della piogge, ma nonostante tutto decido di ascoltare Jah e seguire la sua volontà. Del resto, sono solo e dipende unicamente dalla mia volontà. Resta da vedere Addis Abeba e c’è pure la possibilità di raggiungere Shashamane, più a sud, dove vive una folta comunità Rastafari dalle folte chiome.
Non ho un vero e proprio programma e sarà una vacanza all’improvvisa, jazz. Unico contatto sul posto, fornito da Tekle Selassie e momentaneamente ad Addis Abeba, Alpha D, un fratello Rastafari canadese, che da 4-5 anni vive in Africa, in Benin, alternandosi tra la musica e sindacalismo in difesa delle donne, di agricoltori e del suolo.
Il 7 agosto parto quindi dall’aeroporto di Milano Malpensa, con un volo dell’Ethiopian Airlines, compagnia aerea fondata da Haile Selassie I. Una volta bordo, la sensazione “casa dolce casa” inizia a pervadermi. L’aereo è pieno, mi sento rilassato e, giunti in quota, tutti i demoni di Babilonia si sono staccati e ricomincio a vedere con i miei occhi, quelli della spiritualità. Non ho più dolori e sento perfino il desiderio di dormire, una cosa che mi pare di non fare dal almeno 20 anni. Mi addormento e alle luci dell’alba s’inizia ad intravvedere la grande Africa dal finestrino.
Arrivo ad Addis Abeba
All’aeroporto internazionale di Bole, Addis Abeba, ho come l’impressione di essere l’unico sceso dall’aereo ad uscire anche dall’aeroporto, mentre tutti gli altri sembrano aver utilizzato Addis Abeba come scalo.
Subito sono colpito da una quantità di aria e luce impressionante, l’Africa in tutta la sua naturalezza. Addis Abeba si trova vicino all’equatore, dove la Terra è più larga, 2.300 metri sul livello del mare, e sale fino ai 3000 metri verso il monte Entoto.
L’aeroporto è vicino alla città, decido quindi di non prendere il taxi e a piedi mi dirigo verso la Social guest house dove ho prenotato quattro di notti ed ho il check-in alle 13. Alla prima banca, cambio qualche euro con due simpatici e divertiti bancari, convinto non so da quale propaganda che avrei avuto difficoltà a trovare un bancomat. Scoprirò poi, che ad Addiss Abeba sono praticamente ovunque. In Etiopia c’è il nuovo e il vecchio, così come il tamburo, durante le religiosissime manifestazioni cristiane, suona sia per il vecchio che per il nuovo testamento.
Mi rimetto in cammino e, dopo aver incrociato due empatici e sorridenti passanti, le prime persone che vedo sono dei bambini di strada, dalle tasche vuote, che mi salutano con occhi e sorrisi ricchi di spirito:“Baba, baba, rasta!!“. Qui mi conoscono - ho pensato. Sembravano felici di vedermi e io di vedere loro. Avevo letto qualcosa in internet sui bambini di Addis Abeba, e pure dei cani, ma quella è un’altra storia. Non mi aspettavo, però, di vederne uno con una bottiglia in bocca, ad aspirare qualcosa che sembrava colla, per stordirsi. Lo guardo, gli faccio un’espressione e un gesto per fargli capire di non farlo e lui si toglie la bottiglia di bocca. Giungo al loro fianco ed iniziano a chiedere: “Money, money, money”, con tanto di mano portata alla bocca a mimare il mangiare.
L’Etiopia è una dei paesi più poveri al mondo.